mercoledì 7 luglio 2010

Pietrabbondante - Ricerche archeologiche 2009

Aspettando la nuova stagione di scavi, prevista per il mese di agosto, riportiamo la consueta relazione annuale del prof. La Regina circa le scoperte e nuove acquisizioni durante gli scavi del 2009. La relazione si può scaricare il pdf da questo link dell'INASA:

Le indagini archeologiche nell’area del santuario sannitico di Pietrabbondante, riprese quest’anno nel mese di giugno e tuttora in corso, sono condotte come negli anni precedenti dall’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte per conto del Comune di Pietrabbondante, d’intesa con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, e con finanziamenti della Regione Molise. Responsabile del procedimento è l’Arch. Massimo Notaro, del Comune di Pietrabbondante. La direzione dei lavori è affidata all’Arch. Fioravante Vignone della Soprintendenza per i Beni Architettonici e alla Dr. Stefania Capini, della Soprintendenza per i Beni Archeologici. Le attività di ricerca sul campo sono guidate dal Dr. Luigi Scaroina con l’assistenza della Dr. Fabiana Carlomagno e della Dr. Rachel Van Dusen. I rilievi sono eseguiti dai Geometri Domenico Quaranta e Pasquale Iadisernia della Soprintendenza ai Beni Archeologici. Il restauro delle statuette bronzee rinvenute nel 2008 è stato eseguito dalla Dr. Ida Anna Rapinesi della Soprintendenza ai Beni Archeologici di Roma. Le indagini diagnostiche sugli stessi materiali si devono alla Dr. Daniela Ferro, dell’Istituto per lo Studio dei Materiali Nanostrutturati, CNR Roma. I lavori sono stati affidati all’impresa CPS Costruzioni di Venafro. Hanno partecipato alle indagini 5 operai e 116 laureati e studenti della Sapienza di Roma e di altre università.



I lavori del 2009 hanno avuto come obiettivo l’esplorazione degli ambienti ancora sepolti della grande casa rinvenuta nel 2002, la quale occupa buona parte di una terrazza che si estende per m. 108 su una superficie di oltre 3000 mq. a sud-ovest del teatro e del grande tempio. È stato così possibile individuare i caratteri architettonici dell’edificio e la successione delle fasi edilizie con le trasformazioni avvenute nel corso di cinque secoli. Sono ora note le principali vicende dell’edificio tra il II secolo avanti e il IV d. C. Alla prima fase è da attribuire la costruzione della grande domus ad atrio con impluvio, alae e tablinum, ampia metri 78 x 28, che si estendeva nella parte posteriore con un portico a due navate di metri 32,66 x 8,50. L’impluvio di questa fase edilizia non è stato trovato, ma ne è documentata la presenza dall’originario canale per il deflusso dell’acqua piovana. I pavimenti sono in cocciopesto, in alcuni casi con semplici decorazioni di mosaico bianco. 



Il tipo di edificio costituisce una novità: la casa ad atrio che in luogo del giardino chiuso da un peristilio ha un portico aperto verso l’esterno non ha confronti. L’ampia area libera da costruzioni su cui si affacciava il portico si estendeva fino alla strada che, più avanti, rasentava il teatro ed il Tempio A. Questa originale concezione trova ragione nella destinazione del portico che evidentemente doveva essere raggiungibile da uno spazio pubblico. La navata esterna era infatti accessibile attraverso un allineamento di nove colonne, e la navata interna lo era attraverso un colonnato più breve, di cinque colonne. Nello spazio aperto della navata interna erano collocati doni votivi, quali statue di divinità, su pilastri, basi di pietra e su due banconi in muratura; tra le altre cose vi erano una dedica in osco riferibile a Ops Consiva, e pietre di forma globulare sorrette da pilastrini, nelle quali è possibile riconoscere il simulacro di una divinità non antropomorfa. Le restanti parti della navata interna erano occupate da ambienti chiusi: un sacrarium con un altare, un deposito per doni preziosi, e cucine in funzione non solo della domus ma anche di banchetti pubblici da tenersi nella navata esterna del portico. Questi caratteri, e anche l’ubicazione stessa dell’edificio in diretta connessione con il tempio e il teatro, hanno consentito di riconoscere nell’edificio la domus publica del santuario. Gli scavi di quest’anno hanno tra l’altro condotto al ritrovamento, su una terrazza ampia metri 36 x 8 ubicata oltre il lato lungo della casa verso la montagna, di un quartiere di alloggi per schiavi con ambienti di metri 4 x 4; all’interno di queste celle vi sono tracce di focolari con resti di pasti e di vasellame. La domus è stata costruita nell’ultimo ventennio del II sec. a.C., nello stesso tempo in cui si edificava il teatro, e prima della costruzione del grande tempio, come viene dimostrato dal livello del passaggio che la metteva in comunicazione con l’area del teatro. L’edificio ha certamente mantenuto la destinazione di domus publica del santuario fino agli ultimi esiti della 
guerra sociale nel Sannio (82 a.C.). 

Dopo circa mezzo secolo di abbandono la grande domus di Pietrabbondante venne nuovamente occupata come residenza privata nell’ambito di un fundus. La proprietà è riconducibile a Gaio Socellio Celere, il quale aveva fatto costruire non lontano dal santuario, lungo la strada di accesso, un grande monumento funerario di cui restano elementi smembrati. A questa fase che ebbe lunga durata, certamente fino a tutto il II sec. d.C., e che fu caratterizzata da attività produttive agricole, si devono alcune radicali trasformazioni dell’edificio, avvenute a più riprese nel corso del tempo: il rifacimento dei pavimenti rovinati, la sostituzione dell’impluvio della fase sannitica con un impluvio in pietra, la trasformazione di alcuni locali della parte posteriore in zona termale con una cisterna, ambienti riscaldati, vasche, e tubi di piombo. Non furono nuovamente occupate alcune parti dell’edificio: il quartiere degli schiavi, sulla terrazza retrostante la casa, non fu più usato e venne evidentemente trasferito altrove, in posizione non ancora identificata. Il grande portico a due navate, già impiegato per la collocazione di doni votivi, era già crollato quando la casa fu occupata dai Socelli, e non fu mai ricostruito, né le macerie furono rimosse. Una successiva fase edilizia, tra la fine del II e la seconda metà del III sec. d.C. è caratterizzata dall’impiego di materiali di spoglio dei monumenti sannitici. Il prospetto dell’edificio verso il teatro fu trasformato con l’aggiunta di un portico parzialmente aperto sul piazzale antistante tramite un colonnato. Nell’edificazione dell’avancorpo furono usati elementi lapidei prelevati nelle aree porticate ai lati del tempio maggiore (Tempio B). In questo periodo attività produttive documentate da fornaci per la cottura di materiali fittili e ceramici, per quanto contenute, assumono prevalenza rispetto a quelle agricole, probabilmente in conseguenza dello spopolamento dei territori montani. 

L’ultima fase di vita della domus riguarda il periodo compreso tra gli ultimi decenni del III sec. e la metà del IV d.C. Le attività produttive sono sostituite da un’economia di spoglio basata sull’estrazione dei metalli dalle 
strutture monumentali del passato (piombo delle coperture, ferro, bronzo) e sulla raccolta di materiali metallici negli strati di distruzione. Fosse di spoglio sono state individuate nell’area porticata retrostante la domus, ove i crolli avevano sepolto doni votivi di metallo, tutti asportati. Forni per la fusione di metalli sono stati trovati nell’area antistante la domus, in precedenza occupata dalle fornaci per la produzione di materiali fittili. 
Saggi eseguiti per definire la datazione degli edifici che si trovano nell’area compresa tra il Tempio A e il Teatro hanno consentito di confermare la presenza di una fase sannitica, documentata soprattutto da ceramica a vernice nera (in corso di studio). Di questo livello di occupazione restano il podio di un edificio e poco altro, perché lo strato più antico è stato in gran parte asportato per la costruzione di case con antistanti taberne, 
probabilmente nello stesso periodo per il quale si sono accertate attività produttive nell’area della domus (fine II - seconda metà III sec. d.C.). Le case poste in questa zona, lungo la strada che rasentava l’antico edificio 
scenico modificato per nuovi usi e i resti del Tempio A ormai decaduto, dovevano essere abitate dalle maestranze addette alla produzione ed alla vendita degli oggetti. Per gli edifici costruiti in questo periodo sono stati usati materiali di spoglio del Tempio A e del Tempio B. L’occupazione di quest’area si è protratta in forme sempre più povere, come nella domus, fino alla prima metà del IV sec. d.C. Ricognizioni eseguite per individuare l’ubicazione originaria del mausoleo dei Socelli hanno consentito di ritrovare altri elementi lapidei appartenenti al sepolcro. Sono previsti pertanto ulteriori saggi di scavo per metterne in luce il basamento, anche al fine di ricomporvi le parti restanti. 



Il restauro di due piccoli bronzi rinvenuti nel 2008 rappresentanti Minerva e un Lare, e lo studio diagnostico eseguito in tale occasione, hanno consentito di riconoscerne non solo il loro grande pregio artistico e la raffinata esecuzione, ma anche gli aspetti tecnici e la morfologia della materia: la composizione della lega metallica ha dimostrato che si tratta di oggetti di epoca ellenistica, probabilmente del II secolo a.C.

ADRIANO LA REGINA - LUIGI SCAROINA -
FABIANA CARLOMAGNO - RACHEL VAN DUSEN
© Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte – 2009

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