lunedì 12 settembre 2011

ADRIANO LA REGINA RACCONTA ...

NUOVE SCOPERTE DAGLI ULTIMI SCAVI


PIETRABBONDANTE. Cappello alla “pescatora” bianco e macchina fotografica al collo. Si aggira tra i tesori dell’antico Santuario sannita di Pietrabbondante, Adriano La Regina, tra quei resti di edifici imponenti, appartenenti ad un lontano passato, che lui stesso ha riportato alla luce. Ne conosce i minimi dettagli, ne scruta le particolarità, i linguaggi, le storie. Dopo più di tre mesi dall’apertura della nuova campagna di scavi nell’importantissima area archeologica di Pietrabbondante, abbiamo incontrato  il Presidente dell’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte di Roma, che dagli anni Settanta si occupa di scoprire le meraviglie del Sannio. Ci ha raccontato le novità emerse dalle nuove attività di scavo, le più recenti consapevolezze. Una di queste riguarda la “domus publica”, un vero e proprio unicum in Italia.

“Abbiamo continuato ad indagare nella zona della “domus publica” – ha detto La Regina parlando della grande residenza sannitica in cui venivano ospitati i personaggi istituzionali del tempo, per occasioni religiose ed alleanze politiche - ma la ricerca non è finita. L’edificio è stato individuato nelle linee generali e sono emerse fasi edilizie diverse, in ragione dell’uso che se n’è fatto nel tempo. La grande novità di questa casa è il portico quadrangolare aperto nella parte posteriore e l’ambiente contrapposto al tablino: un’aula per le riunioni o la curia dei sacerdoti, dove si trovavano per i banchetti o per trattare su questioni importanti”.

 La struttura, ora in fase di restauro, ha avuto una vita lunga e complessa. Gli studenti guidati dagli archeologi hanno rinvenuto due livelli di pavimenti, che testimoniano i diversi utilizzi della casa. Dopo le funzioni di uso pubblico, in epoca sannitica, si presume ci sia stata una fase di decadimento. In età augustea la domus fu ristrutturata, probabilmente, dalla famiglia dei Socelli. Famiglia facoltosa che aveva il controllo dell’area. Poi, ci sarebbe stato un periodo di impoverimento delle attività produttive della famiglia e dunque dell’intera zona. “La maggior parte dei metalli – sottolinea l’archeologo – sono scomparsi. Questo è un ulteriore elemento da cui si può capire che dalla metà del IV secolo non ci sono tracce di vita nella casa. Ci furono saccheggi, asportazioni di metallo. Venivano demoliti anche i monumenti per estrapolare le grappe di bronzo, che servivano per tenere unite le pietre”. Insomma, una parte del Santuario, il più importante luogo di riferimento politico e religioso per i Sanniti, fu abbandonata, in altre zone continuò la vita. L’anno prossimo, dopo il restauro, la domus sarà pronta per essere aperta al pubblico. Un altro prezioso tassello della storia dei nostri antichi antenati potrà essere fruibile ai visitatori, che arrivano da tutta Italia e da vari angoli del mondo, per vivere l’autentica dimensione culturale e paesaggistica che l’area archeologica offre.

 Altre indagini sono state svolte su altri edifici. Per esempio, intorno ai portici accanto al tempio piccolo (Tempio A), dove sono stati scoperti due livelli: uno superiore, in cui si trovavano le botteghe con colonnato in mattoni - che si affacciavano lungo un’importante asse stradale - risalenti ad un periodo successivo ai Socelli; l’altro inferiore, contemporaneo al Tempio A sannitico. In quest’area sono stati ritrovati resti di sacrifici animali, dedicati alle divinità e il “fulgor conditum”. Si tratta di un particolare rito religioso sannitico, che consisteva nel seppellire gli oggetti colpiti da un fulmine. L’anno scorso è stata scovata proprio in questa zona una statuetta chiaramente danneggiata dalla saetta “divina”.

A.Z 
da: "PRIMO PIANO MOLISE"

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