martedì 13 marzo 2012

Ti consiglio un libro...


Raffella Milandri, “Io e i Pigmei, cronache di una donna nella foresta”,
edito da Polaris.

Viaggio tra i Pigmei Baka,
“dove finiscono le nostre certezze”

Raffaella Milandri
Non è una semplice guida per viaggiatori pronti a catapultarsi in un’avventura e non è neppure un racconto straordinario su un popolo esotico e sconosciuto. L’esordio letterario di Raffaella Milandri è un vero e proprio documento, in forma narrativa, sul mondo dei Pigmei del Camerun, il Popolo della Foresta, lasciato dal genere umano in balia della violenza e della discriminazione. 

La fotografa e attivista per i diritti umani è partita per le terre d’Africa quest’anno, mentre in Giappone lo tzunami sconvolgeva la centrale nucleare di Fukushima, mentre in Libia i ribelli tentavano di scacciare il rais Gheddafi, mentre in Camerun il dittatore Paul Biya continua a dominare incontrastato da 29 anni. È partita da sola, come è solita fare, con una sola missione: conoscere i Pigmei, vivere con loro per un po’ e ascoltarli. 

Dall’esperienza in quella che un tempo era una foresta incontaminata e che oggi è depredata da multinazionali assetate dal dio denaro, è nato “Io e i Pigmei, cronache di una donna nella foresta”. Un libro avvincente, ricco di testimonianze orali e fotografiche, in cui è racchiusa l’essenza della scrittrice. Una donna tenace, capace di arrivare in capo al mondo pur di difendere, almeno con la conoscenza diretta e con l’informazione, i popoli più deboli, talvolta in via d’estinzione. “Io ho sempre Sognato – scrive Raffaella Milandri nella prefazione del testo- accompagnando i miei anni di bambina con le letture dei fumetti di mio padre: Tex Willer, Zagor, Mister No. Ho sognato di fantastiche esplorazioni in terre inesplorate, di crociate per salvare tribù incontaminate, di galoppate con indiani nelle praterie americane”. 

La Milandri con i bambini Pigmei
Dal sogno di bambina alla realtà, che si è rivelata più cruda di quanto immaginato. “Quando, dopo una lunga malattia e una vita in punta di piedi – racconta la scrittrice – mio padre mi ha lasciato, si illuminò di fronte ai miei occhi la scritta “Time is now”, “il tempo è adesso”. I Sogni non possono aspettare a oltranza: appassiscono e avvizziscono, come una pianta inaridita. Prima che fosse troppo tardi, ho lasciato il mio lavoro da amministratrice e sono partita all’avventura”. Ma il viaggio in Camerun, di cui la Milandri descrive vicende, episodi non consueti e tabù, non è dei più rilassanti. L’autrice soffre le difficoltà dell’essere una donna occidentale, immersa in un ambiente privo di servizi, di acqua, di un posto comodo per dormire, tra stranezze e contraddizioni. Con caparbietà e sensibilità per le vite relegate dei Pigmei,  Raffaella Milandri riesce nel suo intento. Si addentra nella foresta e penetra nell’animo dei Pigmei Baka (una minoranza etnica dichiarata a rischio di estinzione) si ferma nei loro villaggi, ormai fuori dal loro habitat naturale, conosce i soprusi che i Bantu, la razza fisicamente ed economicamente più forte, infliggono al popolo inesorabilmente più debole. Racconta tutto nel suo libro, la Milandri, come una sorta di diario di viaggio in cui descrive episodi e speranze, tradizioni e personaggi. Sensibile ai dettagli e fedele alla sua missione: portare all’attenzione della comunità internazionale le sofferenze dei Pigmei. Privati della loro linfa vitale, la foresta.

Copertina "Io e i Pigmei"
Nonostante le numerose ONG, associazioni umanitarie, missionari e preti presenti in questa zona dell’Africa, infatti, sembra che nessuno sia interessato alla vita del popolo indigeno. Scacciati dalla giungla, assoggettati dall’etnia dominante dei Bantu, che li costringono ai lavori forzati, i Pigmei sembrano non avere più alcuna speranza, se non quella di tentare di sopravvivere. “Le compagnie forestali hanno comprato tutta la foresta del sud  -scrive la Milandri – il WWF ha acquisito la foresta a nord: la gente di Serge adesso è bloccata qui, immobilizzata dai ristretti confini del villaggio. Niente caccia e niente pesca. Se vengono visti con selvaggina, sono subito arrestati dalla polizia”. E ancora. “Qui noi siamo in prigione – racconta un Pigmeo – Qui bisogna soffrire. I bantu ci prendono per lavorare, con la forza e con le bastonate: si parte alle sei di mattina e si torna alle sei di sera e poi ci danno 250 franchi (trenta centesimi) o ci fanno bere per forza alcolici che ci indeboliscono, o ci danno stracci per vestirci. Adesso siamo schiavi dei bantu e del denaro”. 

E schiavi della deforestazione. Da un lato, ci sono le compagnie forestali che posseggono terreni invalicabili assegnati dal Governo, dall’altro c’è chi distrugge i boschi nella pura illegalità. Beffandosi delle creature che vivono al loro interno. Poi ci sono i parchi naturali, salvaguardati dal WWF che tutela l’ambiente ma non i Pigmei. Infine i safari, zone per turisti ricchi che pagano fior di quattrini per cacciare specie rare e protette, e le compagnie minerarie che usurpano terre e piante per le loro attività. Si aggiunge anche l’oleodotto Ciad-Camerun “che squarcia la foresta pluviale ed è chiamato progetto per lo sviluppo”.

Raffaella Milandri ha raccontato in itinere il suo viaggio su Facebook, ha aperto la causa “Per i diritti umani dei popoli indigeni” che oggi conta seimila iscritti. Ha lanciato la petizione per l’adesione dell’Italia alla ILO 169, una legge internazionale a favore dei diritti umani dei popoli indigeni. Corre in giro per lo stivale a presentare la sua “missione”, a chiedere aiuto e sostegno. Il suo libro, ricco di testimonianze umane e fotografiche punta dritto al cuore del suo messaggio. Si arricchisce degli usi (come quella di affilare i denti), tradizioni, stili di vita di questi popoli lasciati in balia del nulla. Accompagnata da personaggi reali che vivono in quella disperazione. Un viaggio vero, concreto, in cui si coglie tra le righe un’inconsueta dimensione emozionale, mescolata ad una meticolosità antropologica ed umanitaria. Un viaggio che comincia – come scrive la Milandri riprendendo una frase di Frank Michel – “dove finiscono le nostre certezze”.

Adelina Zarlenga

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