lunedì 15 marzo 2010

Il covo della rivolta sannita



E’ raro che uno scavo archeologico centri subito un bersaglio grosso. Adriano La Regina, soprintendente di Roma antica, c’è riuscito praticamente al primo colpo. Coronando con una sorprendente scoperta una missione nel Molise, dove per conto della soprintendenza di Campobasso ha trascorso l’estate a coordinare il restauro del teatro sannitico di Pietrabbondante e ad esplorare un terrazzamento che sovrasta la cavea di pietra e la ricollega a un grande tempio coevo sulla cima del sito. 

Pietrabbondante è un paesino a mille metri d’altezza arroccato sotto tre grossi speroni di roccia. Il sito archeologico, poco più giù, occupa un pianoro sassoso che domina la distesa mozzafiato di boschi, colline, dirupi, palcoscenico di uno dei popoli più singolari e bellicosi dell’Italia preromana, i Sanniti Pentri. Un territorio senza un vero e proprio centro urbano che trovò per oltre quattro secoli il suo perno politico e religioso proprio in questo recinto sacro battuto dai venti, dove le genti del Sannio celebravano i loro riti e riunivano nei momenti più gravi le loro assemblee. 
L’area è uno scrigno prezioso di questa storia: i depositi votivi dei templi hanno restituito trofei di guerra e armature predate in battaglie che racchiudono l’intero sanguinoso ciclo delle guerre con Roma, testimoniano la rivolta guidata da Pirro, il passaggio dell’esercito d’Annibale. Ma i ruderi che ora la costellano ne raccontano soprattutto l’ultima fase, tra il secondo e il primo secolo a.C, prima del rovinoso declino. C’è un grande teatro, costruito su un tempio più arcaico e scavato in epoca borbonica: un migliaio di posti con tre file quasi intatte di 180 sedili di pietra, le stessa cifra del senato della regione sannita che quasi certamente veniva convocato anche qui in questo santuario sacro. Più su entro un recinto di pietre poligonali c’è un grosso tempio d’impianto latino: tre celle all’interno e all’esterno tre altari. 
Fu proprio Adriano La Regina, che allora era un laureato poco più che ventenne, ad estrarre quel poderoso monumento di pietra dal campaccio di grano che lo nascondeva. E a ritirar fuori più tardi, quando negli anni ’70 assunse la soprintendenza di Campobasso, le altre pertinenze, due portici di botteghe, che lo circondavano. Un legame ininterrotto che quest’estate lo ha riportato qui, prestigioso professore a fine carriera, verso l’avventura di un nuovo scavo, condotto con pochi mezzi ma con l’impegno d’un esordiente. 
Il premio è stata la scoperta di un grande edificio sconosciuto che occupava la balconata sopra il teatro. «Dopo neanche un paio di giorni, al centro del quadrato che avevamo tracciato per delimitare il cantiere - racconta Adriano La Regina - abbiamo incontrato una grande lastra levigata con i bordi lavorati. Era una vasca ad impluvio, circondata da quattro colonne, e situata al centro del cortile di una domus, analoga per pianta e dimensioni a quelle sannitiche di Pompei che ha un fronte di una sessantina di metri, chiuso da un secondo cortile colonnato. «Sicuramente una struttura di servizio del santuario - spiega il soprintendente - Probabilmente una sorta di foresteria per alloggiare i capi e i dignitari delle tribù sannitiche che si ritrovavano a Pietrabbondante. 
Due i dettagli di rilievo. Il primo riguarda la datazione del complesso, precisata dalle monete trovate negli strati del terrapieno: siamo nel pieno della guerra sociale, della ribellione cioè delle popolazioni italiche che rivendicavano da Roma la piena cittadinanza. Rivolta di cui proprio in questo santuario si levarono i primi squilli. Quel tempio sul pianoro intitolato alla Vittoria è eloquente come un messaggio di guerra. Il secondo particolare emerso dallo scavo è che la costruzione della casa rimase incompiuta. Un abbandono frettoloso che ci racconta quasi sicuramente la fine della rivolta, culminata dopo varie sconfitte, con una sanguinosa repressione. 
La storia di Pietrabbondante si chiude così. I ribelli furono quasi tutti trucidati. Si salvarono come sempre solo pochi voltagabbana. Come quel Gaio Stazio Claro, che era tra i maggiorenti del Sannio. Fu sicuramente uno dei capi della sollevazione: sulle mura del tempio di Pietrabbondante c’è una dedica con cui ne rivendica il finanziamento. Pochi anni dopo lo ritroviamo - la fonte sono le cronache di Appiano - a Roma, cooptato addirittura nel Senato della città da Silla, cui aveva garantito il suo appoggio».

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