giovedì 13 maggio 2010

Mommsen in Molise



Nel 1844 Cristian Matthias Theodor Mommsen compie il primo viaggio in Italia: frutto di questo viaggio sarà il diario Viaggio in Italia (1844-1845), molto difficile da decifrare, inframmezzato com’è anche da «banali» poesie. In questo leggiamo di una veloce traversata attraverso le terre del Molise. Scrive in maniera laconica, quasi schizzi veloci, appunti e non descrizioni «Il 31 (è il 31 luglio del 1845) studiato le iscrizioni di Chieti: a mezzogiorno dall’arcivescovo. Di sera alla volta di Popoli, poi con il corriere, passando per Sulmona (mezzanotte), Castel di Sangro (mattino), Isernia (deserta, grigia zona collinare), Venafro (fra magnifici uliveti, da qui poi la regione diventa più amena), Capua – posta senza attrattive in pianura – a Napoli». Ogni commento è superfluo. Theodor Mommsen doveva tornare in Molise. Fu infatti a Pescolanciano, ospite del Duca Giovanni Maria d’Alessandro(personaggio di antica Casata napoletana del Sedil di Porto, gentiluomo illuminato – a lui si devono gli scavi archeologici di Pietrabbondante – fedele alla causa borbonica, organizzatore della Vandea molisana (corrono gli eventi del 1860); sconfitto, fermo nelle proprie idealità segue in esilio il suo re,Francesco II. Di tale permanenza nel maniero di Pescolanciano parla una lettera che l’illustre archeologo scrisse a Lipsia il 20 dicembre 1849: l’inedito, qui di seguito riportato, è pubblicato per gentile concessione di Ettore d’Alessandro, discendente di quella illustre Famiglia. «Ecc.mo Sig. Duca, mi sento obbligato ad Ella per la gradita ospitalità nel suo maniero in Peschiolangiano, che ancora oggi mi porta a rinnovare i dovuti ringraziamenti. Il ricordo di quel Monte che all’alba davami risveglio e al tramonto accompagnava il lento torpore è sempre vivo, rendendo men tristi i giorni cattivi e più lieti i buoni… Ella mi accompagnò in quelle terre, patria della civiltà dei Sanniti, bagnate dalle chiare acque del fiume Trigno perché potessi approfondire le mie proposizioni riguardo Bovianum Vetus presso Agnone …. Amerei, assai, Sig. Duca, sapere se dette inizio al lavoro di scavo intorno alla sannitica torre di santa Maria Vignali, che ebbi occasione di ammirare nelle prime nostre escursioni. Non ne ho veduto nulla di simile nella zona, come è di sicuro interesse quel passaggio nella roccia che porta alle segrete del suo castelllo… Ho ammirato la collezione di maioliche del suo antenato, che rappresentano tanto lustro e la continuità storica di un popolo ricco di ingegno e maestria ed amerei ricevere omaggio di questa manifattura per mostrarla al mondo accademico di Berlino…Comunque Ella con i suoi gentili modi e raffinatezze culturali, tipico del suo rango e della illustre sua Famiglia ben nota nel Regno e al Re di Sassonia, ha reso la mia visita in quei luoghi come una epigrafe indelebile nel mio cuore… o contemplato quel verde paesaggio sannitico non conoscono parole di gratitudine e di cordiale affetto per Ella e per la sua terra… Attendo sua risposta e mi rassegno con consueta amicizia e stima». 

Ancora oggi il viaggiatore che l’estate giunge a Pescolanciano e visita il castello respira un’atmosfera irreale e suggestiva che soltanto le antiche cose sanno evocare. In quel luogo il tempo sembra aver sospeso il corso: mobili in preda ai tarli, mura e nicchie che trasudano segreti, piccole interessanti suppellettili che recitano una vita che non è più, arazzi e bandiere di antiche virtù simboli, incunaboli e pergamene, lettere gelosamente custodite, stanze che danno in altre stanze e urlano gli eventi della storia o raccontano del lavoro febbrile degli artisti intenti a plasmare la creta e poi scalinate di pietra, unacorte dal pavimento sconnesso in cui a tratti affiora l’e rba, un ponte sospeso sull’abisso che catene in quiete non sollevano più, le reliquie di Sant’Alessandro contenute nella mistica piccola cappella, gli arredi sacri e preziosi come il sangue versato del Santo, la tela La Decollazione del Martire, dipinta da un allievo di Francesco Solimena, ebbene tutto questo finisce con l’ irretire la carne, col farne sua preda: la malia penetra nell’acciottolato dei tendini, dei muscoli e del sistema nervoso del visitatore e se ne impossessa tutto, fino a devastarlo; soltanto l’occhio sembra sfuggire alla suggestione che promana da quel luogo, per perdersi dall’alto del maniero nell’ infinito incanto del verde.

Tratto da Viaggiatori in Molise, a cura di Massimo Bignardi, Electa Napoli

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