In occasione del cambio del parroco che avverrà il 14 febbraio 2010 riportiamo il discorso in onore di Don Giovanni Santangelo Sacerdote Novello declamato dal professore Giuseppe Vitagliano il 6 luglio 1947, data dell’insediamento. Raro esempio di retorica ecclesiastica; tipologia dei discorsi che si recitavano decenni fa.
Or ora avete ascoltato, più auguste e più trionfali nel canto, le parole con le quali la Chiesa saluta i suoi ministri novelli: “Ecce Sacerdos magnus, qui in diebus suis placuit Deo, inventus est iustus, et in tempore iracundiae factus est reconciliatio”. Ecco il Sacerdote grande, che accetto al Signore nei suoi giorni, fu trovato giusto e nel tempo dell’ira riconciliò gli uomini a Dio.
Inno più bello non si poteva elevare alla grandezza e alla gioia del Sacerdozio di Cristo, di quel Sacerdozio che, come la Chiesa, di cui è milizia armata di fede e di amore, – da tanti secoli- soffre, combatte, prega e le sue tende spiega dall’uno all’altro mar. Da Pietro di Galilea, l’oscuro pescatore che sulle rovine dell’impero di Roma issò, sfidante e trionfante, la pacifica Croce di Cristo a Giovanni Bosco che ha aperto alla conquista dei suoi figli tutte le vie del mondo, questi militari, noti ed oscuri, hanno segnato il cammino della storia. Ebbero il comandamento di evangelizzare le genti, di essere luce del mondo e della terra; e la loro luce è il sale di tutti i giorni, il loro sale è preservazione dall’errore e dal disfacimento. Fatto segno di contraddizione e di odio, dalla Roma, di Nerone, al Messico, alla Spagna il sacerdote, nel martirio di sangue e nell’ignota immolazione di ogni giorno, ha donato tutto con dedizione a chi gli negava il diritto di vivere, ha benedetto e portato l’amore dove si malediceva e ardeva l’odio accecante. Con i primi discepoli ha cambiato il volto ad un mondo di schiavi con Benedetto da Norcia ha dato all’occidente pericolante e selvaggio la civiltà del lavoro e del pensiero, con Francesco d’Assisi ha riportato tra gli uomini, in nome del primo, e più grande comandamento, l’amore delle creature e di Dio, con Francesco Saverio ha disseminato per il mondo la falange innumerabile dei missionari; araldi della conquista lenta ma inesorabile alla dolce violenza di Cristo, con Camillo de Lellis ha dato un sorriso per ogni lacrima e un conforto per ogni dolore, con Giuseppe Cottolengo ha portato l’eroismo della carità cristiana tra i derelitti e i reietti della vita.
Davanti a questo poema di fede, davanti a questa titanica opera cementata di trionfi e animata da inarrestabile slancio, quale miseria appaiono le grandezze umane. “Passan le glorie come fiamme di cimiteri, come scenari vecchi crollan regni ed imperi…”. Solo, però, resta l’impero che ha ignorato violenze e sangue, ingigantendosi e alimentandosi nei secoli con l’opera dei Sacerdoti, figli della carne, eppure trasumanati dalla grazia del loro ministero, divino come la missione di Cristo. “Alter Christus” – è stato chiamato il sacerdote: un altro Cristo, e del sacerdote si posson ben ripetere le parole che Alfredo Oriani, nel suo testamento, scriveva di Cristo: “Egli è crocefisso in tutti i cuori: gli increduli sentono in lui che il dolore può essere consolato soltanto dalla propria grandezza, i credenti salgono in Lui fino alla redenzione della colpa, fino al trionfo del sacrificio. Chiamate dunque la sua legge a giudice nei tribunali, perché la giustizia non è vera che in un sogno divino, lasciatelo nelle scuole e negli ospedali al letto dei morenti, perché la sua promessa, sola, può placare la loro suprema disperazione davanti al mistero della vita e della morte. A Lui gridano anche i morti dentro di noi: Egli è il vivo della speranza che incorona le culle e i sepolcri, la suprema fede di tutti coloro ai quali la morte non basta contro il dolore”.
Ed oggi, invece, pur dopo aver sperimentato a prove di lacrime e di sangue che l’ideale terreno si è rimpiccolito con la terra, e non basta più né a coloro che pensano, né a coloro che amano, oggi il Sacerdote viene perseguitato e combattuto da coloro però che vedono nella sua grandezza, nella sua Santità, il rimprovero vivente alle loro miserie e alla loro umanità disumana; combattuto e perseguitato da coloro i quali, supremamente ridicoli, parlano di giustizia, di morale, di libertà, dimenticando che nessuna moralità, come scrisse Spencer, è concepibile e trasmissibile senza una religione. Ma l’odio dei persecutori di ieri e di oggi è importante ad ottenere a disarmare le forze dell’amore: le porte dell’inferno –aveva detto loro Cristo- non prevarranno. Ed oggi la fioritura di queste anime elette non conosce soste: sotto le raffiche dell’incredulità, dentro l’espansione inebriante della ricchezza, tra la gloria e la potenza della nuova cultura, queste anime sentono la nausea del mondo e si rifugiano in Seminari e Conventi. Il loro numero cresce dovunque, si moltiplica paradossalmente nell’Africa, senza che uno solo dei vecchi ordini cada, mentre altri, con nomi ignoti avanzano in falangi serrate. E il mondo, questo stanco mondo che sa solo rinnovare e creare per distruggere e conosce la sola legge dell’odio, guarda a questi messaggeri di pace, a questi costruttori di civiltà. Li guarda e li ama, perché solo da loro aspetta, al di là di ogni fallace promessa, l’avveramento e l’ adempimento del regno di Dio, che solo è regno di pace, di giustizia, di amor. Nella schiera di questi opposti, entra ora un giovane che fino a ieri abbiamo visto, di tanto in tanto, in mezzo a noi, uomo tra gli uomini, ma già prescelto al sacerdozio eterno: ed oggi il popolo, sapendolo trasfigurato dalla grazia di Dio, lo ha accolto tra i suoi figli migliori. Ed io confesso che oggi, come non mai nella mia vita ho compreso quale grandezza, quale sublimità abbia il sacrificio coscientemente affrontato per un ideale. Immolare, come tu, caro Don Giovanni, hai fatto, la tua giovinezza, immolare le proprie frementi energie con amorosa dedizione, è virtù suprema di eroismo.
E beato sei tu, poiché non sentirai mai nella tua vita, come tanti altri compagni rimasti al di qua della tua pace, l’amarezza del disinganno, la stanchezza e la cattiveria del mondo e della sua creatura, che promettono e danno anche, ma poi tradiscono senza avere mai donato. Felice sarai tu, perché più da vicino hai voluto prendere la tua croce per seguire uno che non inganna, e che da oggi ha messo la sua potenza nelle tue mani, dispensatrice di beni con caduchi. Scendi dunque, caro Don Giovanni in mezzo al tuo popolo, in mezzo ai tanti che credono perché soffrono e soffrono perché sono buoni, in un mondo che ancora rinserra schiavi e lacrime. Dalla tua, dalla vostra opera gli uomini attendono l’avveramento di una realtà che agli stolti può sembrare irrealizzabile sogno, ma per noi è speranza più certa di qualsiasi certezza: lo spuntare di quel giorno che, in un solo ovile e in un solo pastore, veda splendere…de’ liberi un solo vessillo sul mondo tranquillo.
Prof. Giuseppe Vitagliano.
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