giovedì 18 febbraio 2010

INCHIESTA: PIETRABBONDANTE E CASTELSECCO, DUE SITI A CONFRONTO

Dal settimanale Arezzo n. 102 del 23/12/06 Marco Botti traccia un’affascinante confronto tra il sito sannitico di Pietrabbondante e quello etrusco di Castelsecco:

castelsecco

010 - Teatro

Quando il silenzio incontra la storia
In provincia d'Isernia, a oltre 1000 metri di altitudine, si trova Pietrabbondante, un piccolo borgo dove oggi vivono poco meno di un migliaio di abitanti. La nascita dell'odierno centro abitato si ascrive tra il IX e il X sec. d.C., periodo in cui Pietrabbondante fu capoluogo di una delle 34 Contee del Ducato di Benevento.
Le sue case, addossate a tre grossi picchi di nuda roccia detti morge, si elevano su di un paesaggio che è un trionfo di natura incontaminata, di monti che si susseguono ininterrottamente a vallate decorate da minuscoli presepi viventi.
Pietrabbondante è un balcone magnifico su tutto l'Alto Molise e da qui lo sguardo si perde fino alle terre abruzzesi, pugliesi e della Campania. La pace regna sovrana, circondata da aghi di pino & e silenzio & e funghi. La suggestione di camminare per queste alture durante la bella stagione, quando i campi traboccano di mille colori, compete alla pari col misticismo che le foreste suscitano nei mesi freddi, quando la colonnina scende vertiginosamente sotto lo zero e la neve che si posa è misurabile in metri.
A Pietrabbondante la vita scorre placida, animandosi solo per alcuni eventi annuali come la fiera di inizio agosto, dedicata al santo patrono Vincenzo Ferreri, e la prima domenica di ottobre, quando si svolgono i festeggiamenti della Madonna del Rosario.
Nella graziosa piazza Vittorio Veneto una statua bronzea del secolo scorso, alta circa tre metri e raffigurante un guerriero sannita, ci ricorda il fiero passato di questi luoghi e ci anticipa ciò che troveremo a poca distanza dal paese, in località Calcatello: un formidabile e prezioso scrigno archeologico, di una magnificenza inverosimile se raffrontato alle dimensioni che raggiunge oggi Pietrabbondante. Di una solennità tale che per molto tempo illustri storici l'hanno identificato con la mitica Bovianum Vetus citata da Plinio.
Un patrimonio che si arricchisce di anno in anno
La storia - La vicenda archeologica di Pietrabbondante inizia coi Borboni nel 1857, quando fu ritrovato l'incantevole teatro e i resti di un piccolo tempio di influenza italica, dal quale fu estrapolata una grossa collezione di iscrizioni osche, oggi conservata a Napoli. Se ne incuriosirono tutti i grandi studiosi del tempo, in particolare Mommsen, il primo ad avanzare l'affascinante ipotesi che qui potesse sorgere l'antica Bovianum Vetus. Agli studi dei Borboni seguì una seconda fase nel biennio 1871-1872, dopodiché l'area fu abbandonata.
Nel 1959 Adriano La Regina, uno dei massimi archeologi viventi, per la sua tesi di laurea si interessò nuovamente alla lingua osca e alle popolazioni sannitiche. Una volta divenuto soprintendente ai Beni Archeologici del Molise, negli anni Settanta scoprì il grande tempio collegato al teatro che non era emerso fino ad allora, riportando alla luce un complesso santuariale unitario.
Il santuario, databile tra II e I sec. a.C., ebbe una vita breve, poiché dopo le Guerre Sociali andò in disuso e nel II sec. d.C. era oramai sepolto da materiale alluvionale. È costruito in un momento in cui il Sannio è già assoggettato a Roma, fatto non trascurabile, perché testimonia il tipo di governo che i romani instauravano nelle zone conquistate, dove lasciavano, nei limiti possibili, autonomia religiosa, politica e amministrativa. Questo permetteva, in un crocevia culturale di influenze latine che scendevano la penisola ed ellenistiche che salivano, la realizzazione di mirabili esempi di mediazione tra varie forme artistiche.
Oggi gli studiosi propendono quasi unanimemente a indicare nel sito archeologico di Pietrabbondante il più importante santuario dell'antico Sannio. I nuovi scavi stanno confermando questa tesi e per la sua tipologia mettono in relazione il luogo con altri complessi coevi come Tivoli, Gabii e Castelsecco.
Dopo il restauro del teatro e del grande tempio principale, dal 2002 è iniziato lo scavo di una nuova area di oltre 5.000 mq sempre sotto l'egida di La Regina, oggi presidente dell'Istituto Nazionale di Archeologia e di Storia dell'Arte, e la direzione degli archeologi Luigi Scaroina e Augusta Di Iorio. Da questi nuovi lavori sono venuti alla luce altri tre edifici sacri notevoli, tra cui una domuspubblica e un donario, nel quale sono stati trovati ex voto in terracotta, bronzo, pietra, ma anche monete e vasellame. La domus, di stile pompeiano, aveva un cortile provvisto di impluvio ed era il luogo dove dimoravano i sacerdoti.
Il nome di questo insediamento non è mai stato scoperto e non sappiamo nemmeno a chi era intitolato il grande tempio a triplice cella, che indica la presenza di tre dedicazioni. Un'ipotesi potrebbe essere la triade capitolina, ovvero Giove, Giunone e Minerva, ma non è una verità accertata. L'unico riferimento sicuro è una lamina con dedica alla Vittoria, una divinità venerata probabilmente in un sacrario diverso da quello principale. A confermare la peculiarità di Pietrabbondante, bisogna ricordare che la suddivisione a tre celle è una caratteristica insolita in area italica.
Il tempio principale (25 metri per 35) alle spalle del teatro, del quale oggi è visibile solo il podio, ha una posizione non casuale, infatti il suo orientamento a sud-est permetteva di osservare la nascita del sole in ogni momento dell'anno. La scalinata e una parete, che sono state ricostruite negli anni Settanta in maniera attendibile, ci rendono l'idea della sua imponenza. Sul podio è rimasto un cardine originale di bronzo del grande portone, mentre sulla parete rialzata si legge una scritta in osco ricordante Stazio Claro, che contribuì alla costruzione del complesso.
Tra tempio principale e teatro è stato trovato un capitello ionico del IV sec. a.C., residuo di un edificio sacro antecedente, e molte armi, che ci fanno presupporre che l'area era stata già frequentata come luogo di culto in precedenza, al tempo in cui sul soprastante monte Caraceno furono realizzate delle fortificazioni sannitiche di avvistamento.
Altro aspetto particolare sono i resti delle botteghe alla destra del teatro, un'area di commercio legata al santuario, che sorgeva nei pressi di un importante passaggio di uomini e merci, il tratturo Celano-Foggia.
A primavera inizieranno i lavori per la realizzazione di un ambizioso museo nel quale confluiranno i ritrovamenti di questi ultimi anni, serbati oggi in un deposito blindato, tra cui una statua in pietra di Ercole alta 80 centimetri, recuperata con i recenti scavi. Purtroppo non potranno essere esposti i rinvenimenti ottocenteschi oggi conservati a Napoli, dove oltre alla raccolta di scritte osche si trova anche una rilevante collezione di armi.
In Italia trovare finanziamenti per l'archeologia è ormai difficilissimo, ma l'attuale sindaco Florindo Zarlenga si è saputo muovere al meglio e con la collaborazione della Regione Molise è riuscito a raccogliere gli aiuti economici direttamente dalla Comunità europea.
Nella consolidata squadra di lavoro figurano una ventina di operai del paese, che con questa formula operano vicino casa per alcuni mesi dell'anno, svolgendo le proprie mansioni con grande dedizione, nell'ottica di agire per il bene della propria comunità. In questa maniera sono stati raggiunti velocemente risultati insperati, basti pensare che nella sola stagione 2006 è stato scavato e già restaurato in alcune parti il donario.
Alla fine gli esiti sono agli occhi di tutti e la stessa Comunità europea, giunta in Molise lo scorso agosto a visionare i lavori, è rimasta colpita dalla mole di attività svolta e si è impegnata a sovvenzionare il recupero anche per il 2007.
Il teatro - Cenni a parte merita il teatro, dove troviamo caratteristiche italiche, latine ed ellenistiche che convivono perfettamente, tanto da rappresentare un degno esempio di evoluzione della forma teatrale, da quello greco a quello romano.
Alla struttura si accede da quattro punti: due ingressi sul fronte; uno laterale, per la gente comune, nella parte alta della cavea; uno collegato al grande tempio. Il terrapieno del teatro è sorretto da un muro semicircolare fatto di blocchi sbozzati di pietra calcarea locale, dalla forma poligonale e disposti a incastro.
Negli ultimi cinque anni, sotto la direzione del professor La Regina, è stato ricostruito quasi tutto, compreso il fronte scena lungo 37 metri e i telamoni, con un lavoro certosino. Il restauro è stato fatto soprattutto con pietre originali ritrovate nell'area, che sono state studiate accuratamente. Quelle non utilizzate sono state messe da parte, perché ancora non è stata individuata la loro posizione iniziale. In alcune zone, dove non si sono ritrovati i blocchi perché rotti o trafugati, è stata fatta una ricostruzione sobria in pietra locale che aiuta nella leggibilità dell'area. Ulteriori integrazioni sono state fatte con del travertino proveniente da Tivoli, trattato con appositi prodotti che lo rendono simile alle pietre del luogo, ma allo stesso tempo distinguibile dalle autentiche.
Il teatro era composto di due elementi principali, la cavea e l'edificio scenico, legati tra loro da due archi di pietra, oggi sapientemente ricostruiti incastrando, come era già in origine, i blocchi. Quelli più danneggiati sono stati riedificati per motivi di sicurezza.
Per capire che a Pietrabbondante si è lavorato nel più ampio rispetto del passato, restaurando secondo le tecniche originarie, basti dire che i rifacimenti sono stati fatti con le centine in legno ricostruite come erano anticamente, mentre i blocchi di pietra sono stati sollevati con attrezzi fabbricati identici a quelli romani.
Il teatro, oltre alla sua funzione di luogo per spettacoli di tipo religioso, era un importante spazio di comizi. I sorprendenti sedili anatomici delle prime file ospitavano difatti i senatori.
Secondo un'ipotesi attendibile, le varie etnie del Sannio si riunivano periodicamente in questo luogo dall'acustica splendida, per discutere fondamentali scelte riguardanti il loro territorio.
Una plurimillenaria magia ancora celata
La collina di Castelsecco conserva uno tra i più importanti complessi archeologici di tutto il territorio aretino. Il colle, alto 425 metri, è detto anche di San Cornelio e dista circa 3 chilometri dal nucleo storico di Arezzo, rispetto al quale si trova a sud-est. Oggi la collina si presenta come un grande terrazzo ovoidale con una lunghezza di 280 metri e una larghezza di 102. Siamo prossimi a un'antica direttrice viaria di collegamento tra la Val di Chiana e la Valtiberina, che veniva utilizzata per raggiungere l'Adriatico o, come strada alternativa alla via del Trasimeno, per giungere in Umbria.
In passato sono state formulate varie ipotesi sull'insediamento alla sommità del colle e i ritrovamenti dimostrano come il luogo fosse continuamente frequentato dall'epoca arcaica fino a tutto il Settecento. Successivamente divenne zona agricola e ancora oggi è visibile una colonica abbandonata, vicino a quello che rimane della chiesa di San Cornelio.
Per alcuni studiosi di fine Ottocento, come il Gamurrini, qui si ergeva l'arcaica Arezzo, un insediamento fondato da antiche popolazioni italiche (forse umbre) e poi conquistato e reso potente dagli Etruschi; Lo stesso Gamurrini sterzò in seguito le sue opinioni, dapprima ipotizzando la presenza di un fortilizio etrusco e successivamente di una grande villa romana. Vincenzo Funghini, il primo che indagò con alcuni dissotterramenti la collina nel biennio 1886-1887, era andato oltre, immaginando una cinta muraria di 10 chilometri che inglobava Arezzo e Castelsecco. Negli anni Sessanta del secolo scorso, il Lopes Pegna suppose che nel colle era sorto l'accampamento delle legioni romane che stanziarono nell'aretino già dal IV secolo a.C.
Dopo tanti piccoli saggi sulla collina, tra i quali quelli del compianto Piero Greci, nel 1969 iniziarono gli scavi con metodo scientifico da parte della Soprintendenza archeologica dell'Etruria, sotto la direzione di Guglielmo Maetzke, che riportarono alla luce i resti di un teatro e di un tempio. Negli anni Settanta e Ottanta furono fatti ulteriori piccoli interventi di consolidamento dell'area.
Tra i tanti ritrovamenti, i più datati sono l'iscrizione tins lut ( dono a Tinia, il Giove etrusco) su lastra di travertino, una moneta etrusca e una fibula di bronzo del VIII/VII secolo a.C. L'area era frequentata quindi già in quell'epoca.
Nel II secolo a.C. viene dato un nuovo assetto alla collina, orientandola verso la Val di Chiana e realizzando delle possenti mura perimetrali. Viene così costruito un imponente complesso santuariale extraurbano a servizio della città di Arezzo e presentante elementi significativi come il tempio principale e il teatro tra loro collegati, caratteristica che trova riscontri con altri complessi dello stesso periodo, anche molto distanti dal territorio aretino, come Pietrabbondante.
Castelsecco aveva però peculiarità tutte sue, perché sebbene realizzato in un momento in cui l'influenza del mondo romano si faceva già sentire, era decorato con lastre di terracotta come era nella tradizione etrusca. Anche la distanza tra teatro e tempio, che non sono perfettamente allineati tra loro, era maggiore rispetto agli altri santuari italici coevi di influsso ellenistico.
Nel nuovo complesso rimase la dedicazione a Tinia, a cui si aggiunse sicuramente il culto di Uni (la romana Giunone Lucina), divinità collegata alla maternità e alla fertilità, come dimostrato dai tanti ex voto in terracotta raffiguranti bambini in fasce rinvenuti e oggi conservati al Museo Archeologico aretino.
Successivamente, alla pari della città schierata per Mario, anche questa area subì la collera di Silla intorno all'80 a.C., ipotizzabile per la mancanza di decorazioni a lastre datate successivamente a quel periodo, che dimostrerebbe una decadenza del santuario.
Durante le invasioni barbariche e l'Alto Medioevo, Castelsecco fu usato come fortilizio divenendo una zona strategica nella lotta tra bizantini e longobardi.
Sempre in epoca medievale qui sorsero almeno due chiese, San Pietro e San Cipriano. L'attuale chiesa dei Ss. Cornelio e Cipriano è invece settecentesca e fu profanata negli anni Sessanta.
San Pietro presenta resti dell'abside del IX sec d.C. a nord-est del teatro. Qui è stato ritrovato anche un altare, all'inizio ritenuto un'ara pagana, ma poi riconosciuto come cristiano del IX-X sec. d.C.
La parte a sud-est della collina è costituita da uno spettacolare muraglione di macigni locali sbozzati dalle varie dimensioni. Il perimetro del lato ovest, al contrario, è visibile solo in alcuni tratti perché è franato o coperto dalla flora. La cinta, che presenta un tratto ad andamento curvilineo, ha una lunghezza alla base esterna di 120 metri, interrotta da 14 contrafforti che hanno un'altezza massima di circa 10 metri. Per Maetzke, oltre alla funzione di sostegno al terreno, questa muraglia aveva uno scopo monumentale.
Direttamente collegato alle mura e a loro contemporaneo, si trova il teatro orientato a sud e adatto a rappresentazioni sacre, come dimostra il piccolo altare del II sec. a.C., rintracciato vicino al palcoscenico.
Oggi l'edificio scenico non è visibile, perché ricoperto col terreno per preservarlo dai vandali, ma è l'esempio di teatro etrusco-italico meglio conservato e dimostra i collegamenti artistico-culturali di Arezzo con territori lontani.
La cavea aveva un diametro di 45 metri e rimane a noi solo la parte strutturale, che doveva essere ricoperta da lastre di travertino, di cui sono state trovate tracce. Della cavea ima restano 4 gradini, mentre mancano la parte media e la summa. Sono stati individuati anche altri tre gradini molto manomessi. L'orchestra, che aveva un diametro di circa 15 metri, era semicircolare e pavimentata di pietra in lastre. A essa si accedeva attraverso due corsie oparodoi, anche esse lastricate in pietra. Oggi ne resta ben conservata solo una. Dalle parodoi si giungeva a due piccoli ambienti (paraskenia) dai quali si passava al palcoscenico (pulpitum) che era posto rialzato in mezzo. Quest'ultimo era rivestito con lastre in terracotta decorate, oggi conservate in frammenti all'Archeologico, che presentano motivi simili a quelli ritrovati sia in città, sia nelle urne cinerarie volterrane dello stesso periodo. Del fronte scena, lungo circa 18 metri, sono rimaste le fondazioni fatte di macigni irregolari.
Lo spiazzo tra teatro a sud e podio templare a nord non presenta a oggi niente di affiorante.
Il grande podio centrale, a circa 100 metri dal teatro, apparteneva a un notevole edificio religioso. Si alza 6 metri sul piano circostante ed è stato ottenuto livellando la sommità del colle e ritagliando lateralmente una grossa sporgenza di roccia.
L'area è ancora in gran parte da indagare, nuovi scavi potrebbero permettere una migliore lettura storica e l'affioramento di edifici e templi con altre dedicazioni.
La polemica: ereditare un tesoro per...
Castelsecco
e Pietrabbondante: perché questo confronto tra due aree così lontane tra loro? Le risposte sono molteplici e alcune si colgono icto oculi.
Innanzitutto le due aree archeologiche sono spesso accostate nei testi per certe similitudini, nonostante una sia di tipo etrusco-italica e l'altra abbia influenze sannite. Potremmo anche ricordare che gli aretini, come i molisani del I sec. a.C., subirono l'ira di Silla dopo essersi schierati per Mario durante le Guerre Sociali.
Ma ci sono altre corrispondenze più sottili e dettate da mere assonanze. Una su tutte è rappresentata dal monte Caraceno, incombente sull'area archeologica di Pietrabbondante, che è detto anche Saraceno , forse in ricordo delle scorribande dei turchi. Proprio quel saraceno (o saracino) che noi aretini ricordiamo nella nostra celebre rievocazione storica.
Al contrario nostro, tornando in ambito archeologico, a Pietrabbondante hanno però capito che simili tesori ereditati dal passato devono essere categoricamente valorizzati. Per questo motivo sono state trovate importanti risorse economiche, grazie soprattutto agli sforzi congiunti degli Enti locali che, nel caso del piccolo centro molisano, hanno dei mezzi infinitamente più piccoli rispetto a quelli di una ricca città d'arte capoluogo di provincia. Ma non servono di certo valenti Nostradamus per prevedere che il tempo darà loro ragione.
Intanto ad Arezzo, dal 1969, si sono succedute dieci legislature, ma nessuna di loro che abbia veramente preso decisioni per il definitivo recupero di Castelsecco.
E se una flebile speranza arriva dai buoni propositi dell'omonima associazione, che pare essere riuscita a reperire i finanziamenti per il recupero della collina dal punto di vista ambientale, il nostro illustre e scalpitante passato si deve scontrare con le istituzioni locali e non solo, che dopo i puntuali proclami pre-elettorali di turno, ricollocano sistematicamente Castelsecco e la sua area archeologica nel dimenticatoio.
Possibile che nessuno comprenda quale ritorno culturale, turistico ed economico deriverebbe da un parco archeologico di tale importanza? Eppure di esempi eclatanti (vedi Cortona) ne abbiamo anche nel nostro territorio!
A nessuno passa per la mente che questa collina potrebbe essere una formidabile palestra di crescita e formazione per nuove generazioni di studiosi e archeologi? Probabilmente no.
Di tanto in tanto si organizzano convegni (a dire il vero a distanze decennali), dove i rappresentanti delle categorie più disparate si gonfiano il petto con tanti proclami, ma allo stato attuale le enigmatiche vestigia continuano a rimanere lassù, sepolte dalla terra di riporto e da un nuovo strato di profilattici usati che, di anno in anno, si aggiunge a quello precedente.
Chissà se un giorno arriverà veramente qualcuno che porrà rimedio a questa vergogna tutta nostrana.
Marco Botti (Fonte)

1 commento:

  1. Grazie di aver ripescato questa inchiesta di qualche anno fa, resa possibile grazie alla collaborazione del bravo archeologo Luigi Scaroina, che stava coordinando gli scavi.
    Il vostro paese e il suo stupendo sito archeologico mi sono rimasti nel cuore.
    In seguito al reportage sono riuscito a tornarci solo una volta, ma conto di farvi nuovamente visita entro questa primavera.
    Cordiali saluti.

    Marco Botti
    vicedirettore Il Settimanale di Arezzo

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